San Giuseppe – patrono dei lavoratori
Oggi 1° maggio, festa dei lavoratori, mi è sembrato un giorno ideale per pubblicare una piccola riflessione su colui che ne è considerato il patrono, ovvero San Giuseppe.
Una figura silenziosa ed emblematica, imponente nella cultura cristiana; il mio legame nei suoi riguardi è nato anni fa, quasi per caso, e da allora è sempre rimasto accanto a me. Immobile, taciturno, ma costantemente presente nel vegliare ad ogni mio passo.
Si possono narrare tante vicende su di lui, molte saranno vere ed altre probabilmente no, poiché i Vangeli non raccontano molto di quest’uomo a cui Dio ha affidato lo straordinario compito di fare da padre putativo di Gesù; tuttavia ho trovato particolarmente piacevole meditare la riflessione personale di Don Tonino Bello del quale riporto solo una citazione (quella che più mi ha colpito). In essa, il Sacerdote immagina di sedersi in un angolo della bottega del Santo e parlargli come ad un amico:
[…] Il tempo passava così lento, che gli intervalli scanditi ogni quarto d’ora dalla torre campanaria sembravano un’eternità, ma forse era proprio questa lusinga di eternità a rendere preziosa un’opera di artigianato e a darle vita era proprio quella angosciante porzione di tempo che vi veniva rinchiusa. Sembrava che la materia prima di una seggiola o di un vomere non fosse tanto il legno od il ferro, ma il tempo; e che la fatica del fabbro o del carpentiere, del sarto o del calzolaio fosse quello di addomesticare i giorni comprimendoli nella materia e crearsi per un istinto di conservazione riserve di tempo negli otri delle cose prodotti dalle sue mani. Il tempo allora era imprigionato nella materia come l’anima nel corpo, ruggiva dentro un oggetto e gli dava movenze di vita se non proprio l’accento della parola. Le cose nascevano perciò lentamente e con i tratti di una fisionomia irripetibile. Come un figlio, prima un atto d’amore, dolcissimo e breve, poi nove mesi. Oggi purtroppo qui da noi di botteghe artigiane ne sono rimaste veramente poche.
Al loro posto sono subentrate le grandi aziende di consumo: non si genera più, o meglio si concepisce solo l’archetipo, ma senza passione e con molto calcolo. L’archetipo poi, questo sordido ermafrodita, riproduce con ritmi di allucinante rapidità, squallidi sosia, con l’unico desiderio che campino poco. Ed eccoli lì, allineati, questi elegantissimi mostriciattoli dalla vita breve, belli, ma senz’anima, perfetti, ma senza identità, lucidi, ma indistinti. Non parlano perché non sono frutto di amore, non vibrano, perché nelle loro vene non ci sono più i fremiti del tempo prigioniero.
Si, Giuseppe! È proprio questa anemia di tempo che rende gelide le nostre opere […]
“Lettera a San Giuseppe”
Incamminata in questo percorso tanto straordinario quanto difficile (l’iconografia cristiana) in un tempo dove tutto sembra aver perso quel ricco sapore di buono e di “bello”, percepisco così tanta affinità con questi aspetti emblematici del nostro tempo. Questo continuo scontro contro una logica che vuole piegare la bellezza della qualità e dell’unicità con i meccanismi del “tutto e subito” … o buon Giuseppe, c’è tanto da capire ed apprendere per poter crescere, ma meditando sulla vita di Gesù e quindi per riflesso anche sulla tua, ti chiedo di insegnarmi quelli che sono i tempi giusti per generare la bellezza, per arrivare al cuore delle cose e per essere fedele a Dio comunque e sempre, così come lo sei stato tu.